Il Pacchetto Omnibus, recentemente approvato dalla Commissione Europea, è stato presentato come una risposta necessaria per semplificare il quadro normativo della sostenibilità. Una boccata d’ossigeno, almeno in apparenza, per le imprese sommerse da oneri amministrativi crescenti.
Ma la domanda vera è: basta ridurre gli obblighi per fare davvero sostenibilità?
Spoiler: no. E il mercato lo sa bene.
Cosa cambia con l’Omnibus?
Il Pacchetto introduce modifiche sostanziali alle principali normative ESG europee:
- Slittamento di 2 anni per gli obblighi CSRD per le grandi imprese non quotate (2028) e per le PMI quotate (2029);
- Semplificazione degli standard ESRS e cancellazione degli standard settoriali;
- Due diligence ridotta solo ai partner diretti nella catena del valore (Tier 1);
- Soglie più alte per la rendicontazione obbligatoria: oltre 1.000 dipendenti e 450 milioni di euro di fatturato UE.
In pratica: meno obblighi, meno dettagli, meno responsabilità. Ma questo non significa “meno rischi”.
Cosa non cambia: rischi, aspettative e responsabilità
Il rischio più sottovalutato oggi si chiama greenwashing. I casi recenti contro marchi globali (Shein, Apple, Armani, Dior) dimostrano che una comunicazione ESG poco trasparente, anche solo incoerente, può trasformarsi in un problema legale e reputazionale serio.
I clienti, gli investitori e le banche continueranno a chiedere dati ESG affidabili, indipendentemente da ciò che dice la direttiva. Lo stesso vale per le autorità: l’EBA, la BCE e la Banca d’Italia stanno già pretendendo governance ESG solide dagli intermediari finanziari.
Le aziende cosa fanno? Continuano
Nonostante la semplificazione normativa introdotta dal Pacchetto Omnibus, molte imprese scelgono comunque di proseguire nel proprio percorso ESG.
Chi ha già avviato attività di rendicontazione, implementato sistemi di governance sostenibile o investito nella due diligence di filiera, non intende fare passi indietro. Per molte realtà, la sostenibilità è diventata una leva strategica, non più un mero adempimento normativo.
La rendicontazione ESG, infatti, è sempre più richiesta da clienti, partner, investitori e istituzioni finanziarie. Costituisce un fattore chiave di fiducia, trasparenza e competitività, anche in contesti internazionali.
E soprattutto: chi ha già integrato la sostenibilità nella propria cultura aziendale sa che rallentare ora significherebbe perdere un vantaggio acquisito.
Come muoversi ora: il nostro consiglio
Non è il momento di “rallentare”, ma di consolidare:
- Continua a rendicontare la sostenibilità, anche se sei fuori dallo scope CSRD.
- Rafforza la governance ESG: ruoli, responsabilità, formazione del board.
- Prevedi meccanismi di ascolto (grievance, whistleblowing) e mappatura dei rischi lungo la supply chain.
- Implementa procedure di due diligence oltre il minimo legale, per evitare contenziosi e tutelare il brand.
In conclusione possiamo affermare che, Omnibus o no, il mercato vuole trasparenza ESG; le aspettative non cambiano, anche se il contesto normativo appare in continuo mutamento.
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